Il Covid si è portato via Pino Scaccia, giornalista Rai autore, tra l’altro, di tanti reportage da scenari bellici. Così descriveva sul suo blog, durante la prima ondata della pandemia, come ci stesse cambiando.
Per noi che frequentavamo il territorio comanche (“tu non vedi i fucili, ma i fucili vedono te”) la normalità arrivava dopo tre giorni, il tempo necessario per spezzare l’altra normalità. Tutte le paure avvenivano in quei giorni perché non ti eri ancora abituato agli spari, ad avere un mitra in testa, o a una bomba al ristorante. Poi diventava “normale”, ti addormentavi con la colonna sonora delle granate, ti mettevi al riparo quando cominciavano a sparare. Ricordo che a Valona le bande si affrontavano sempre all’ora di pranzo e maledicevi l’interruzione forzata di un piatto di spaghetti. Succedeva anche al contrario, quando da quella normalità di guerra tornavi a casa. Quando ci spararono alle porte di Baghdad ricordo che per mesi a Roma mi prendeva un colpo quando vedevo un pick-up.
Ecco perché saremo diversi.
Dopo mesi con il virus ci sembra che il mondo sia questo mondo, che la vita debba andare avanti così. Ci metteremo molto, a fatica, a ripristinare la normalità pregressa. Sono anche convinto che fra tre giorni, quando si aprirà un varco, soltanto un manipolo d’incoscienti si avvierà in massa verso la nuova situazione. Ma la maggior parte di noi stenterà a riadattarsi, metteremo in acqua un piede per volta, spaventati dal mare. Non si tratta di essere più buoni o più cattivi, saremo quel che siamo sempre stati, ma torneranno paure ancestrali proprio nel momento della libertà riconquistata. Tornando alle guerre, ho sempre pensato quanto sia difficile spiegare la pace a un ragazzo che vive in zone a rischio, ma ho anche pensato quanto sia molto più difficile spiegare la guerra a un nostro ragazzo.
Ecco, noi abbiamo scoperto la guerra. Sarà complicato riadattarci alla pace.