“Ripartire” e’ probabilmente la parola in assoluto piu’ usata nella pubblicita’ da alcuni giorni.
La conferma, se ce ne fosse bisogno, di come la pubblicita’, ed il suo eterno evolversi, sia una delle piu’ importanti cartine tornasole della nostra societa’ capitalistica.
Lo strumento principale attraverso il quale il mercato cerca di piazzare le proprie merci, la propria droga consumistica, diventa inevitabilmente la spia di come vanno le cose in societa’.
Ed allora, come gia’ credo fatto notare su queste pagine, anche la pubblicita’ e’ stata inizialmente colta di sorpresa dal covid19 e dal lockdown che ne e’ seguito. Faceva molto strano vedere, nei primi giorni di clausura e paura generalizzata, lo scorrere in tv di rilassate e ottimistiche pubblicita’ in cui le solite macchine fiammanti affrontavano viaggi nei soliti scenari meravigliosi in cui la vita puo’ portarti, solo con quella macchina, ovviamente. E che dire delle affollate tavolate che, grazie al prodotto alimentare di turno, rendevano felici e sorridenti i commensali.
Faceva un po’ come se, dopo l’esplosione della bomba atomica, in TV fosse rimasto in onda il nastro delle pubblicita’ dalla vita precedente. Il periodo di “sfasamento” o “asincronia” e’ durato pochi giorni. Perche’ la pubblicita’ sara’ pure l’anima del commercio e quindi manipolatrice di emozioni a fini commerciali, ma non puo’ in alcun modo permettersi di non rimanere sintonizzata sullo stato d’animo sociale. Deve seguire il mood di quella societa’ in quel momento storico. Cercando di condizionarlo e guidarlo con le proprie suggestioni commerciali, ma a sua volta adattandosi ai cambiamenti, soprattutto a quelli che non può governare o reprimere. Tipo una pandemia.
Fatto sta che il solito ottimismo del “vivi felice e scegli te stesso, scegliendo il prodotto” e’ stato prontamente sostituito con una melassa ancor peggiore, perchè ancor più ipocrita. Musiche riflessive e consolatorie per sorreggere testi di speranza, unione e fratellanza nel momento di difficolta’. Immancabile il “restate a casa”, diventato vero e proprio brand, condito in salsa di “andra’ tutto bene” e “ne usciremo migliori”. Gli immancabili marchi e prodotti reclamizzati sono finiti sullo sfondo, in educate trasparenze. Una sorta di lutto del consumo. Perche’, forse per la prima volta da quando esiste il consumismo, la societa’ si e’ trovata nell’impossibilita’ di praticarlo. Perfino Amazon, che il consumo l’ha portato alla frontiera dell’H24 a livello mondiale, ha dovuto mettere restrizioni sull’acquisto dei prodotti “meno necessari”.
Un lutto che ha confermato immediatamente ed inesorabilmente quello che da tempo sostengono i detrattori dell’attuale sistema capitalista: se si ferma il consumismo, ossia il consumo dell’ormai enorme gamma di beni e servizi più o meno voluttuari, il sistema economico collassa automaticamente. I numeri della recessione economica in arrivo lo dimostrano chiaramente. La nostra società, quella del benessere e della disponibilità di “tutto e subito”, dipende dalla ruota consumistica, figlia a sua volta del ciclo produci-consuma-crepa. Se smettiamo di correre, anche solo per poco, viene giù la ruota stessa.
Una buona notizia per tutti coloro che, tradendo un certo sciacallaggio, hanno ritrovato vigore nel teorizzare la fine del capitalismo. E poco importa se alla fine sarebbe stata una pandemia, e non le famose “cause intrinseche al sistema”, a decretarne l’agognata fine. L’importante è il risultato finale: l’abbattimento del capitalismo, la distruzione della ruota oppressiva. Per costoro sarebbe un problema trascurabile l’attuale mancanza di una reale alternativa al sistema capitalista, accertati i grossi difetti di fabbricazione del socialismo reale. L’umanità, secondo lor signori, può permettersi di veder crollare il sistema economico dominante per poi capire, con la dovuta calma e ordine sociale, cosa metterci al suo posto.
Non sembrano pensarla così i governi, compreso quello rabberciato e semipopulista che si è ritrovato a gestire l’Italia in questa storica fase. Che invece quella ruota hanno subito cominciato a puntellarla con ingenti iniezioni di denaro pubblico. Convinti che il capitalismo, seppur ampiamente imperfetto e dopato da un consumo che sempre più sembra servire a compensare la produzione di infelicità intrinseca al sistema, è l’unico sistema economico al momento disponibile. Mi sa quindi che per “la fine del capitalismo” anche stavolta sarà per un’altra volta.
In compenso, una branca piuttosto vivace del variegato mondo della critica al capitalismo, teorizzatrice della “decrescita felice”, potrà finalmente dimostrare al mondo la validità delle proprie ricette. Perchè una certezza, nel mare di insicurezze che il covid19 ha scatenato, c’è: la decrescita economica è un fatto, vanno solo accertate le dimensioni che assumerà. Se sarà felice o meno, avremo modo di saperlo. Le prime notizie non sembrano positive, purtroppo. Confermando che un capitalismo più povero, è destinato ad essere un capitalismo più cattivo innanzitutto con i più poveri, oltre che con l’intero ecosistema che sfrutta e governa.
Ma torniamo alla nostra cara balia commerciale di una vita, la réclame. Dicevamo della sua capacità di descrivere quasi in tempo reale le condizioni sociali di una collettività. Risultando un ottimo strumento anche quando si viaggia (o meglio quando si viaggiava), per capire facilmente in che contesto sociale si è capitati. La pubblicità, dicevamo, si è adeguata, suo malgrado, al lutto del consumo provocato dal covid19. In cuor suo desiderando, bramosamente, di poter bruciare le tappe affinché la ruota tornasse presto a girare. Quel tempo da un paio di settimane è arrivato. Ed eccola allora la parola destinata ad imprimere l’azione nelle menti di tutti noi consumatori: ripartire! Ricominciare a girare nella ruota. Per il bene della ruota e di tutti noi che ci giriamo dentro.