Poco prima dello scoccare delle 7, torno sul mio caro diario. Perchè leggere ha questo grande ulteriore riflesso sulla vita: ti fa venire voglia di scrivere. Sto leggendo, sono quasi alla fine, “Il naufragio”. Un altro splendido lavoro di Alessandro Leogrande. Sì, colui che ho scoperto in quelle notti isteriche e disperate di qualche anno fa con “La frontiera”. Stavolta il naufragio raccontato è quello del piccolo battello Kater i Rades (28 marzo 1997 – Canale d’Otranto), stracarico di albanesi in fuga dalla guerra civile e dalla miseria. Un affondamento ad opera dello Stato italiano, nonostante le responsabilità penali dei vertici della Marina non siano mai state acclarate per via di un’organizzatissima ed immediata opera di insabbiamento messa in atto dai coinvolti. Una tragedia che si è mangiata le vite, tra corpi recuperati e dispersi, di 81 persone (questo il conto ufficiale, probabilmente sottostimato). Una tragedia che, oltre ai responsabili della Marina che hanno gestito le operazioni in mare, ha un mandante occulto ma responsabilissimo: noi italiani. Perchè le manovre spericolate in mare aperto della nave militare Sibilla contro il piccolo battello stracarico di persone sono il frutto della cosiddetta “opinione pubblica”. Quella sorta di mormorio collettivo che, irrazionale e confuso, decide di volta in volta contro chi puntare il dito per provare a placare la paura del vivere. Ieri come oggi, e come purtroppo temo domani, l’immigrazione è un obiettivo fin troppo facile. Perchè non c’è gioco emotivo più facile che sentir minacciato il proprio orticello di serenità duramente conquistata da chi fugge dalla paura non solo del vivire ma financo del morire. Quel mormorio si sparge nei luoghi di lavoro, nei bar, negli uffici postali, ed oggi dilaga sui social. Ma poi finisce nelle urne elettorali, quelle che in democrazia selezionano i rappresentanti del popolo nelle istituzioni. E così ti ritrovi che quel mormorio confuso, irrazionale e quasi sempre figlio di qualche rabbia, diventa espressione politica. Il popolo vuole Barabba libero, e si trovano sempre parecchi Ponzio Pilato per assecondarlo e così arrampicarsi nelle istituzioni democratiche. “Bisogna sparare sulle imbarcazioni”, “ci vuole il blocco navale”. Sono espressioni utilizzate in campagna elettorale dalle attuali forze al governo in Italia, ma rintracciabili (magari in altre forme verbali) in ogni paese che sia destino di immigrazione. Cambiano le rotte ed i mezzi di trasporto, ma la retorica bellicista contro l’umanità in fuga non cambia mai.
I vertici della Marina quella sera del 28 marzo 1997 non erano stati invasi da pazzi odiatori di immigrati, rispondevano ad un chiaro mood (come si dice oggi) politico. Al tempo c’era il centrosinistra al governo dell’Italia, a confermare che su queste tematiche non c’è destra o sinistra che tenga, conta solo il mormorio popolare dominante. Un mood che raccontava l’immigrazione dalla vicina Albania come un pericolo primario per il nostro paese. Un pericolo che richiedeva “fermezza”, “mano dura”, e via discorrendo. Altre parole, altra violenza verbale. Per questo si è arrivati a far speronare un piccolo battello stracarico di persone da una enorme nave militare.
Come diceva Nanni Moretti, le parole sono importanti. Ognuno di noi le butta lì, nel chiacchericcio locale, oggi diventato incessante e globale con l’arrivo dei social, più o meno consapevole in fondo che sono il frutto della propria piccola visione e miseria umana. Un’autogiustificazione per considerarle innocue, ininfluenti. Ma come per il famoso battito di ali della farfalla, le parole si ammucchiano e formano “opinione pubblica”, che poi diventa politica, che poi diventa azione, che infine diventa violenza dura e pura contro i malcapitati: coloro che il destino mette nel posto sbagliato al momento sbagliato. Il cerchio si chiude: la violenza verbale è diventata violenza e basta.
Ed allora Alessandro Leogrande, che purtroppo ci ha lasciati, lo dobbiamo ringraziare tutti. Perchè ha provato ad usare le parole per farci capire l’importanza che possono avere sulla vita e la morte delle persone. Come cantava Jannacci nella sua splendida “La fotografia”: “…perché la gente, sai, magari fa anche finta, però le cose è meglio fargliele sapere”.
La fotografia – Enzo Jannacci
Uhe, no, scusa, guarda la fotografia
Sembra neanche un ragazzino
No, io, io son quello col vino
Lui, lui è quello senza motorino
Così adesso che è finito tutto e sono andati via
E la pioggia scherza con la saracinesca della lavanderia
No, io aspetto solo che magari l’acqua non se lo lavi via
Quel segno del gesso di quel corpo che han portato via
E tu, maresciallo, che hai continuato a dire: “Andate tutti via, cosa fate?
Qui non c’è più niente da vedere, niente da capire… circolare, via!”
Credo che ti sbagli perché un morto di, di soli tredici anni
È proprio da vedere, perché la gente, sai, magari fa anche finta
Però le cose è meglio fargliele sapere
E guarda la fotografia
Sembra neanche un ragazzino
Io, io son quello col vino
Lui è quello senza motorino
Era il solo a non voler capire d’esser stato sfortunato
Nascere in un paese dove i fiori han paura e il sole è avvelenato
E sapeva quanto poco fosse un gioco… e giocava col destino
Un destino col grilletto e la sua faccia, la sua faccia nel mirino
È finita la pioggia, tutto il gesso se l’è portato via
Lo so che ti dispiace maresciallo, ma appoggiato alla lavanderia
Era il mio, era il mio di figlio e forse è tutta colpa mia, perché, vedi…
Come in certi malgoverni, se in famiglia il padre ruba
Anche il figlio a un certo punto vola via
E così lui, no, non era lì per caso, no
Anche lui sparava e via
Ma forse il gioco s’era fatto stanco e non s’è neanche accorto
Che moriva
Guarda la fotografia
Sembra neanche un ragazzino
Io son quello col vino
Lui, lui è quello senza motorino
Guarda la fotografia
Sembra neanche un ragazzino
Io son quello col vino
Lui è quello senza motorino
La fotografia, la fotografia, la fotografia…
Tutto il resto è facce false della pubbliciteria
Tutto il resto è brutta musica fatta solamente con la batteria
Tutto il resto è sporca guerra stile, stile mafieria
La fotografia… la fotografia…
Tu, sì tu, tu che sei famoso… firma, firma, per piacere, la fotografia